Nel campo dell’alimentazione oggi regna una grande confusione. Questo lo si vede non solo dalle molteplici indicazioni contrastanti che ogni giorno vengono promosse da giornali, internet e mezzi di comunicazione, ma anche dalla presenza di numerose figure che ruotano intorno a questo tema e che ogni giorno si accrescono sempre più, inventando nomi fantasiosi e spiegazioni fantascientifiche, che purtroppo incuriosiscono quanto gli oroscopi. E’ comunque assurdo che l’università formi professionisti della medicina, senza che abbiano fatto alcun tipo di esame sull’alimentazione, quando gli stessi medici oggi si buttano nel campo della dietologia o sono i primi a prescrivere ai pazienti di dimagrire per guarire da qualunque malanno o di dover mangiare bene per non ammalarsi. Ma tutto questo non dovrebbe permettere a figure che non hanno nulla a che fare con la medicina di occuparsi di diagnosi e cura oppure di prescrizioni alimentari.
Persino le estetiste e gli istruttori delle palestre prescrivono diete. Per non parlare dei centri dimagranti, dei nutritional coach, dei food blogger o addirittura figure non sanitarie che si definiscono col nome di nutrizionisti o alimentaristi.
Questa babele di informazioni antitetiche, non fa altro che disorientare i pazienti alla ricerca di soluzioni ai loro problemi di salute. Del resto, questa confusione rispecchia anche le abitudini alimentari degli italiani, i quali indossando lo “scudo” della tanto amata dieta mediterranea (peraltro mai esistita), trovano sempre il modo di fare incetta di zuccheri, attraverso cibi che di mediterraneo non hanno nulla. Non meravigliamoci se abbiamo oggi una inspiegabile ossessione per il cibo, una tendenza a fare abbuffate a mangiare di notte, a spiluccare, a non saperci controllare, a preferire i dolci e volerli mangiare ad ogni ora. Vi siete mai chiesti a cosa pensate quando leggete la parola cibo?Vi siete mai chiesti perchè quando finite di mangiare pensate già a cosa mangereste dopo? Purtroppo siamo dominati da tutto questo. Il nostro modo di mangiare è notevolmente mutato negli anni, grazie al benessere. Non si mangia come nel dopoguerra o negli anni settanta. Non possiamo avere il pensiero nostalgico sul cibo e poi sperare di trovare la terapia dei tumori grazie alle biotecnologie. Sarebbe un paradosso. Oggi, anche a causa di un differente stile di vita lavorativo, molte persone mangiano fuori casa. Secondo l’ultimo rapporto sulla ristorazione curato dalla Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) più di 1 italiano su 2 frequenta bar e ristoranti e 12 milioni pranzano abitualmente fuori casa consumando soprattutto panini, pizza e primi piatti, spesso pronti. Il 77% degli italiani maggiorenni infatti consuma, più o meno abitualmente, cibo al di fuori delle mura domestiche sia che si tratti di colazioni, pranzi, cene e aperitivi. Stiamo parlando di circa 39 milioni di persone. A questi dati si aggiunge che 5 milioni di persone ogni giorno (il 61,5% della popolazione) fa colazione fuori casa con predilezione per caffè, cappuccino e brioche, mentre 3 milioni di italiani (59,4% della popolazione) cenano al ristorante almeno tre volte alla settimana, scegliendo soprattutto pizzerie.
Sono infine oltre 9 milioni (il 47,7% della popolazione) coloro che si recano al bar per una pausa almeno 3-4 volte alla settimana, scegliendo soprattutto snack e gelati. Nel weekend queste tendenze sono accentuate, con una differenza netta soprattutto tra i professionisti e chi guadagna molto di più rispetto alla media.
In tutto questo, sono sempre più gli italiani che dicono di ricorrere a cibi salutari, di andare alla ricerca di cibi biologici, di prepararsi le cose in casa, di ritornare alle tradizioni e coloro che difendono il “cibo di una volta”. Azioni meritevoli, per carità, ma che non hanno senso all’interno di uno stile di vita sempre più sedentario, frenetico e alla continua ricerca di innovazione.
Dobbiamo inoltre sottolineare che assistiamo (anche grazie alla migliore qualità nutrizionale rispetto al passato) ad un innalzamento dell’età media della popolazione, la cui spesa è molto diversa (per ragioni economiche e per una incapacità di masticazione) rispetto al crescente numero di single (che hanno una maggiore capacità di spesa e sono amanti del cibo di qualità fuori casa o paradossalmente di quello in scatola, già pronto, tra le mura domestiche).
Va anche ricordato che l’affermarsi di nuovi stili di vita e il prorompere del fenomeno multietnico, correlato ai crescenti flussi migratori, ha notevolmente modificato il modo di mangiare di molti giovani adulti, alla ricerca di nuovi sapori e ad inseguire mode esotiche, favorite dalla globalizzazione.
Quando parliamo di una alimentazione improntata soprattutto agli zuccheri è bene sottolineare che rispetto al passato in media è sceso sia il consumo di pasta che di pane. Al contrario invece aumenta il consumo di snack dolci e derivati di questi, grazie anche alla loro migliore capacità di conservazione e alla praticità legata al packaging.
Nonostante molti italiani siano orgogliosi dei loro prodotti, un pò come avviene per la loro lingua (per questo faticano molto ad imparare quelle straniere), bisogna constatare che gli ultimi anni sono caratterizzati da un aumento del consumo dei surgelati e una riduzione della stagionalità del cibo, un aumento dei cosiddetti prodotti di IV gamma (ovvero le insalate già lavate e pronte da condire), quelli di V gamma (ovvero i cibi già cotti). Per non parlare dell’arrivo sul mercato dei numerosi prodotti dietetici e integratori alimentari, i cibi light, fortificati, arricchiti, supplementati, i novel foods, i convenience food, fino al ritorno degli alimenti integrali e del “buon” cibo di una volta.
Naturalmente è cambiato anche il modo di comportarsi a tavola. Basti pensare che mentre decenni fa mangiare era una sorta di riunione familiare, oggi spesso è una abitudine che viene svolta in solitudine, davanti al televisore, al computer o al cellulare.
Non c’è più educazione alimentare, ne in famiglia, ne a scuola. Gran parte dei ragazzi non mangia frutta o verdure e preferisce cibi dai sapori identici, in genere a base di glutammato di sodio. Non si conosce la stagionalità, la provenienza e le proprietà degli alimenti, il modo in cui essi vengono prodotti, sebbene spopolino “foodporn” e “foodstagramming”.
In passato veniva insegnato il valore del cibo e della natura. Ma in assenza di essi, viene meno la salute. E senza di questa, difficilmente avremo un futuro. Ricordiamoci che non mangeremo computer e tecnologie, seppur fondamentali, senza il rispetto della terra.
La popolazione di oggi è estremamente divisa in fatto di gusti ed abitudini alimentari. Si mangia o ci si astiene soprattutto per estetica e per mode. Le diete sono le principali responsabili di tutto questo e gran parte delle persone si sente perennemente in colpa perchè non la rispetta.
Ma dove è finita la grande cultura e tradizione alimentare che l’Italia può vantare insieme alla Francia? Oggi si parla a sproposito di gastronomia e non si conosce nulla di quello che c’è dietro al cibo. Le donne si costringono a mangiare insalata scondita, eliminando i carboidrati, visti come fonte di peccato. Aumentano gli animalisti e coloro che rinunciano a mangiare carne, che per molti uomini simboleggia la forza e il dominio sull’animale. I vegetariani sono molti di più che in passato, mentre impazza (nel vero senso della parola) il veganesimo, senza capirne a fondo il significato.
Siamo un popolo che rinnega un Dio ma che crede in Bio. Malati di salute che comprano merce scambiandola per cibo di qualità. Tutto il sistema è malato. La maggior parte di quello che compriamo è prodotta da poche multinazionali che impongono i prezzi e le produzioni che il mercato ci offre. Si riduce sempre più la biodiversità. La iper produttività ha preso il sopravvento sulla varietà e sulla qualità.
Ci battiamo tanto per i diritti degli animali e per abbattere gli allevamenti intensivi senza renderci conto che l’agricoltura non è la soluzione. Anzi, sta divenendo l’attività più distruttiva che gli esseri umani abbiano imposto al nostro pianeta, alterando interi ecosistemi.
Non esiste vita senza morte. Stare su questa terra è da sempre una lotta. La natura non ci vuole, poichè è l’impatto umano sul clima e sull’ambiente la principale causa di distruzione.
Per salvare il mondo e salvare noi stessi dobbiamo ragionare in maniera differente. Dovremmo capire davvero come viene prodotto il cibo che mangiamo. Non uccidiamo gli animali solamente mangiandoli. Lo facciamo anche inquinando, producendo sprechi, acquistando cibi confezionati. Avete mai pensato a quanto scarto di confezionamento buttate via ogni giorno? Se davvero vogliamo bene agli animali pensiamo anche a tutti quelli che abbiamo abbattuto per avere quello che abbiamo oggi: strade, palazzi, comodità. Siamo noi ad essere ospiti in un mondo in cui loro c’erano prima. Le catene alimentari si ripetono e si autoalimentano da anni. L’uomo è arrivato fino ad oggi perchè fa parte di quella catena. Ma non parliamo di agricoltura come un processo naturale. Rendiamoci conto che la richiesta di biocarburanti, quella di soia per l’allevamento o l’uso umano, quella di oli vegetali, di vino e carne, pesce e cereali, ortaggi e frutta, non sono fenomeni naturali. Tutto comporta la morte di qualche animale. Vi siete chiesti perchè molti di loro si stanno estinguendo? Non succede perchè l’uomo li mangia. Ma perchè ha bisogno di spazio, di foreste, di terre e soprattutto di monocolture.
E’ il nostro modo di mangiare che sta distruggendo il pianeta. Non si tratta di animale o vegetale. L’uomo ha sviluppato le proprie capacità e il proprio cervello proprio grazie alle proteine animali, che ci piaccia o no. Ma cerchiamo di non essere sciocchi nello schierarci da una parte o dall’altra. Occorre avere coscienza. E i primi dovrebbero essere i produttori che inseguono le regole del profitto, selezionando specie che danno una rendita maggiore, senza badare alla salute delle persone perchè accecati dai guadagni.
Pensiamo tutti di mangiare cibo sano, ma alla fine acquistiamo pomodori dall’Olanda, uva dal Cile, melagrane dal Perù, pere dell’argentina, tutto l’anno.
Oggi è tutto senza odore, sapore e dal colore finto. Tutto è a portata di mano. E quel tempo dedicato alla cucina non esiste più. Ci vogliono malati e ignoranti fin da piccoli. Così possiamo seguire meglio le loro direttive e le campagne pubblicitarie. E pochi se ne accorgono
Ognuno dovrebbe imparare e conoscere cosa succede dal campo alla tavola. E’ un dovere più che un diritto. Non possiamo solamente lamentarci. Bisogna educarsi ad uno stile di vita diverso, senza fretta e con buon senso. Bisogna puntare alle materie prime di qualità, a valorizzare e tutelare le piccole aziende familiari e gli artigiani della gastronomia, conoscere e diffondere i prodotti del territorio e valorizzare quelli validi provenienti lontano da noi, con un occhio al modo di produrli e alle leggi che ne regolamentano la messa in commercio.
San Francesco D’assisi diceva: “iniziate col fare ciò che è necessario. Poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.